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Cosa fare con chi soffre di attacchi di panico?

Molte persone arrivano in terapia domandandomi come comportarsi con un proprio familiare che soffre di attacchi di panico.

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Prima di addentrarci nei suggerimenti cerchiamo di metterci nei panni di chi ne soffre.

Gli attacchi di panico possono irrompere nella vita di chiunque anche quando apparentemente tutto sembra andare bene, così come possono essere successivi ad un evento critico o a fasi di vita di passaggio.

Chi li subisce si sente disorientato, confuso, impaurito a causa della “prepotenza” con cui si manifestano: il cuore batte all’impazzata, si ha una sensazione di soffocamento, la paura di morire o di impazzire è schiacciante. Si possono avere nausea, disturbi addominali, sensazioni di irrealtà, di stranezza, di distacco dall’ambiente.

Per quanto possano sembrare una condanna inesorabile, è importante ricordare che con un adeguato trattamento il disturbo evolve frequentemente nella direzione di un sostanziale recupero.

Il panico non riguarda solo la persona che lo vive ma è un fenomeno destabilizzante anche per l’intero sistema familiare, inevitabilmente impreparato e spaventato dalla difficile gestione dei sintomi.

Uno dei maggiori rischi in cui incorrono i familiari è quello di sentirsi ostaggio degli attacchi di panico, “ricattati” dal sintomo: non è raro osservare famiglie riorganizzare le proprie abitudini ed il proprio stile di vita intorno al panico di uno dei familiari.

Così il panico non è più di uno, ma di molti.

Non solo. L’eccesso di attenzione che si dà al sintomo alimenta un circolo vizioso che, se non corretto, potenzia il sintomo stesso, creando ulteriori problemi.

Con pochi accorgimenti (che non sostituiscono un consulto medico o un trattamento psicoterapeutico) si può evitare che le crisi diventino una patologia familiare.

                             Innanzitutto è utile sapere che:

-La crisi di panico si esaurisce nel giro di 15-30 minuti;

-E’ normale temere il peggio, ma bisogna capire che non c’è un reale pericolo di vita, che la persona non sta per morire, che non sta per venire un infarto, che non sta per impazzire;

-In particolari casi potrebbe essere indicato un supporto farmacologico, previa un’attenta valutazione. Solitamente è previsto l’uso di due classi di farmaci: le benzodiazepine e gli antidepressivi. Il rischio connesso potrebbe essere quello di delegare la soluzione al farmaco, anziché cercarla dentro di sé, cronicizzando il problema. E’sempre bene quindi analizzare attentamente le condizioni di insorgenza, la gravità e la funzione dei sintomi prima di procedere alla terapia farmacologica;

-Capire il momento in cui l’attacco di panico è arrivato la prima volta potrebbe suggerire degli indizi per la cura.

Cosa fare durante un attacco di panico?

-È inutile dire “Stai calmo”. E’ più funzionale non farsi risucchiare dal vortice della paura e fargli percepire tranquillità e fiducia che in pochi minuti la tempesta passerà. Meglio una mano calda e rassicurante di tante parole pseudo-incoraggianti.

-Aiutalo a non combattere i suoi sintomi con l’ostinazione. Quando l’attacco di panico arriva è importante cercare una posizione comoda e rilassarsi, adottando delle tecniche di respirazione. Arrabbiarsi e angosciarsi, anche se comprensibile, ostacola il fluire dell’energia che il panico sprigiona.

Nei periodi tra le crisi:

Non fare in modo che il panico gestisca la vita dell’intera famiglia. Per quanto possibile, continua ad avere gli stessi impegni, tempi, ritmi e anche momenti di relax e di svago. Non condizionare le tue scelte altrimenti diventerà il modo principale per ottenere attenzioni.

Con le migliori intenzioni, finireste per potenziarlo.

-Fai in modo che il tuo caro non eviti di fare delle cose.

Spesso chi soffre di attacchi di panico tende a prevenirli rifugiandosi nella sua “zona di comfort”, rinunciando a fare cose che normalmente faceva, restringendo il suo campo di azione, limitando la sua libertà. Non colludere con queste paure. Impara a non evitare con lui.

-Non assecondare le richieste di essere accompagnato dappertutto o diventerà dipendente da te e tu assumerai quasi lo stesso valore di uno psicofarmaco. Ricorda che “mamma chioccia”, per quanto rassicurante, non consente una vera crescita.

-Suggeriscigli una psicoterapia per capire il significato profondo di questo sintomo. Non credere che sia una malattia prettamente fisica perché toglieresti al tuo caro, la possibilità di usare il panico come momento di crescita.

Piuttosto fa in modo che chieda aiuto ad uno specialista.

Infatti, un percorso di scoperta guidata lo porterà non solo a gestire la sintomatologia nell’hic et nunc, ma anche a ridurla gradualmente e quando sarà solo un lontano ricordo, beneficerà della crescita e della consapevolezza che ogni momento di crisi porta con sé.

Dott.ssa Simona Toto, psicologa psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Pomigliano d’Arco.

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