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Quando il “mangiar sano” diventa patologia

La battaglia contro le patologie da stile di vita errato è sacrosanta. Altrettanto dicasi per lo sforzo che si compie nel sensibilizzare le persone a prevenire tutti gli effetti negativi del junk food e così via. Ma mai perdere di vista la chiave di tutto: l’equilibrio.

 
Anche chi pensa di aver raggiunto il Nirvana dell’alimentazione consumando solo cibi decisamente sani non è immune da alcuni problemi. In Italia, infatti, sono in aumento i casi di ortoressia, ovvero di ossessione per la sana alimentazione. Ebbene sì, la linea che separa la scelta di una corretta alimentazione da quella dell’ossessione per il solo cibo “che fa bene” è più sottile di quanto si pensi. Questo tipo di disturbo, appartenente alla categoria ARFID (Avoidant/restrictive food intake disorder) non può per niente essere sottovalutato. Il Professor Stefano Erzegovesi, responsabile del centro di Disturbi Alimentari dell’ospedale San Raffaele di Milano, ha spiegato in una recente intervista al Corriere della Sera che “le persone interessate da questo disturbo spesso mostrano un comportamento molto simile a quelle interessate da anoressia. Si tratta di soggetti che, pur ricercando qualsiasi cosa possa essere salubre a tavola, risultano anche più suscettibili ad ammalarsi rispetto agli altri. Ciò perché vivono accumulando un livello di stress cronico quotidiano dovuto all’eccessivo stato di allerta. L’ortoressico non solo ricerca ciò che è salutare ma soprattutto evita tassativamente tutto ciò che a suo parere può risultare dannoso. Da qui la differenza con gli anoressici. Chi soffre di ortoressia non valuta la sua dieta basandosi su parametri fisici come la magrezza o sull’aspetto fisico in generale”. Spesso questi soggetti evitano alcuni alimenti anche in base a sensazioni personali o perché li ricollegano a episodi di malessere passati (un esempio può essere l’eliminare totalmente il pesce dalla propria dieta perché una volta c’è stato un problema con le lische). Il Professore spiega che alla base del disturbo c’è l’instaurarsi di un modo di pensare che acquista una caratteristica di invasività e di difficoltà a mantenere una certa flessibilità nella scelta dei cibi o sui temi del lavaggio e del controllo degli alimenti.

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Chi soffre di ortoressia, paradossalmente, crede di aver trovato la soluzione alla propria alimentazione. Per questo motivo è molto bassa la probabilità che un’ortoressico arrivi consapevolmente ad un consulto medico. Nella maggior parte dei casi, il paziente ortoressico arriva a consultarsi coi medici quando il disturbo lo porta ad avere problemi di natura fisica. Spesso si tratta di eccessivo dimagrimento, dovuto alla continua eliminazione di cibi non ritenuti salubri. A partire da questo si può risalire anche al disturbo psicologico. Quando il disturbo viene individuato, il Professore indica come strada principale il lavoro congiunto di più figure professionali. In particolare, il  nutrizionista che può occuparsi dell’aspetto strettamente connesso alla rieducazione alimentare, lo psichiatra che può seguire il paziente anche con terapia farmacologica mentre lo psicologo può concentrarsi degli aspetti psicologici e soprattutto sul prevenire il ritorno del disturbo.

Giuseppe Amato

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